La sagra in cui i protagonisti sono i commercianti: a Padenghe “Pizze in Piazza”

La sagra in cui i protagonisti sono i commercianti: a Padenghe “Pizze in Piazza”

A Padenghe è nata un esperimento curioso: si chiama Pizze in Piazza. Le pizzerie e le fornerie del paese venderanno nel centro storico le loro pizze gourmet.

Gli abitanti del paese potranno così soddisfare i tipici bisogni estivi che caratterizzano i centri storici: necessità di far vivere i posti e non lasciarli desertificare e abbandonare a quell’isolazionismo che diventa, poi, facile humus di degrado sociale ed economico, volontà di incontrarsi nelle serate che si spalmano sempre più in là nel tempo, tentazione di sperimentare qualcosa di nuovo, allergia all’accaldato ristagno casalingo, ritardare l’orario del sonno, anche a causa del termine delle scuole o stanare amici e conoscenze antiche per rinvigorire rapporti sopiti dai mesi letargici.

Di positivo, però, rispetto alle tradizionali fiere, feste e sagre paesane c’è un elemento caratterizzante: ossia che, in questo caso, le pizze sono prodotte dagli esercenti del posto. Non è cosa da poco.

Si sa, infatti, con quanta fatica molte attività cercano di sopravvivere.

Da un lato quindi vi è il diritto di vivere le piazze e le vie, di scegliere un mangiare fast e easy, di incontrarsi anche per caso, senza pretese, di piazzeggiare quindi senza prenotare, senza doversi dare appuntamento, senza un dress code. Dall’altro, però, c’è il diritto di tutelare quelle attività che, si badi bene, in fin dei conti significa tutelare gli stessi cittadini, perché nella misura in cui queste attività chiudono il danno non è ascrivibile solo ai titolari (e comunque alle famiglie dei loro dipendenti). E’ prima di tutto un danno sociale. Un paese dove scompare il commercio è un paese nel quale presto scomparirà la gente, insomma, scomparirà il paese tutto.

Ecco dunque la strategia e la necessità di coinvolgere queste attività, a vario titolo. Qualcuno potrebbe obiettare: ma nelle sagre normalmente vengono arruolati volontari che gratuitamente prestano il loro servizio per una causa nobile.

Ecco: qui ci sarebbe da ragionare. L’articolo 1 della Costituzione asserisce che «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», dunque il lavoro è il bene primario da tutelare, è il bene fondante della società, almeno della nostra società. Dunque ciò che ostacola il lavoro viola de facto il fondamento della nostra società civile. Sarebbe poi oltremodo miope ritenere che i commercianti detengano un potere economico così sconfinato da poter assorbire senza traumi colpi quali quelli inferti dalle numerose sagre e feste di paese.

In secondo luogo, poi, il volontariato è sempre qualcosa a favore di qualcuno, mai contro qualcuno. Ha senso aiutare qualcuno se questo viene fatto a spese di altri? Il volontario è una risorsa, deve essere una risorsa, non un intralcio. Un professore sarebbe contento se qualcuno dovesse impartire lezioni gratuitamente per aiutare qualcun altro e precludergli buona parte dello stipendio? Un meccanico sarebbe contento se qualcuno dovesse sistemare auto gratuitamente per volontariato?

Sarebbe veramente auspicabile quindi che a questi eventi venissero coinvolti prima di tutto coloro che di mestiere vivono di questo. E, si faccia attenzione: il fatto che lo fanno per guadagno non è disonorevole, anzi, significa che non possono permettersi di farlo per diletto, svago o hobby, ma che da questo dipende la sopravvivenza dei loro figli e delle loro famiglie, quindi va ancor maggiormente apprezzato e stimato. Queste persone potrebbero dunque lavorare per la causa facendo prezzi calmierati, oppure fornendo la propria manodopera o materia prima con sconti, o anche gratuitamente se volessero al fine di farsi pubblicità, ma certo il meccanismo non dovrebbe essere d’antagonismo.

 

di Alice Saleri